Fucus sugli aspetti della cultura agraria di
Guardia Piemontese
Come gran parte delle comunità agricole italiane il piccolo comune di Guardia Piemontese per secoli è stato custode di vecchi saperi e antiche tecniche di produzione primaria. In questo articolo di Domenico Iacovo, approfondiremo gli aspetti della cultura agraria di Guardia Piemontese, un paesino dove fino agli anni ’70, macine e ruote hanno scandito i momenti fondamentali del tessuto economico e sociale del luogo, stillando olio e vino o macinando farina e crusca!
Prima di iniziare la trattazione, è bene informare il lettore che il piccolo borgo di Guardia nel decennio tra il 1960 ed 1970 contava all’incirca 1150 abitanti (fonte wikipedia) ed era detentore di ben 8 mulini, 8 palmenti, e 5 frantoi.
Questi numeri, aiutano a comprendere la diffusione dell’attività agraria fino ad un recente passato.
Il mulino
Secondo le testimonianze degli anziani del luogo e grazie al preziosissimo aiuto del Sig. Francesco Martino (che di mulini e frantoi ne aveva visti!) la tipologia di mulino più utilizzata a Guardia era il mulino ad acqua.
L’acqua, attraverso un condotto, raggiungeva la “saìta” ovvero un alto muro caratterizzato da archi con alla sommità un solco (lo stesso meccanismo utilizzato dai romani per la costruzione degli acquedotti); da lì, l’acqua, cadeva a piombo da un’altezza compresa tra i 5 ed i 10 metri sulla ruota motrice, la “roa” che, girando grazie alla pressione dell’acqua, convogliava la sua forza cinetica verso la “mòla” ovvero una grande pietra di forma circolare che schiacciava e frantumava il frumento (principalmente grano, orzo, grano turco e germano) distribuito alla macina attraverso un grande imbuto di legno chiamato “trammuia” (la tramoggia ). “Lhi meserìells”, infine, riempivano i sacchetti “las bessàsses” di farina o crusca.
[ La massima capienza del mulino era definita “màja” ]
A livello toponomastico la presenza di importanti mulini dà il nome alle località:
– Molinàsse (Molinazzo)
– Molin al chavun de la Torre (Mulino in fondo alla via Torre).
Secondo le testimonianze del Samà, storico e autore di libri, il Convento di proprietà dei Domenicani, nel 1600 era titolare di un terreno sito in località Pagliaro di Molino, presumibilmente ubicata nei pressi degli attuali stabilimenti termali.
I frantoi
L’ingranaggio elementare del molino era utilizzato anche nel frantoio dove però, al posto dell’acqua era utilizzata la forza di un asino o di un mulo. L’animale, legato ad un palo orizzontale, girava ed azionava la macina che a sua volta premeva le olive poste su “las fiscùlas”. La pressione era tale che dalle olive stillava olio sia extravergine e sia di scarto, la sansa, che veniva ugualmente raccolto per vari utilizzi non alimentari.
Caratteristiche erano le unità di misura dell’olio : Cestar (10 litri ) , Ditra (2,5 litri), Litre (1 litro) e Mès litre ( 0,5 litri).
La resa media dell’olio era di circa 20 litri ogni quintale di olive, ma, in una società latifondista come quella meridionale l’intera produzione si divideva in 2/3 per il latifondista ed il rimanente terzo per i coloni del latifondo ; per cui su venti litri di olio circa 14 aspettavano al padrone e 6 alle varie famiglie che lavoravano nel fondo.
La “mòlitura” ovvero la capienza massima del frantoio era di circa 150 chili di olive, ad ogni turno all’intera produzione si sottraevano 5 litri di olio (2 ditres) : una per pagare il proprietario del frantoio e l’altra per gli operai; chi possedeva l’asino guadagnava quanto l’equivalente di due uomini!
I palmenti
I Palmenti si dividevano in due categorie:
- Occasionali all’aperto
- Fissi.
Esso era costituito da una grande vasca su cui scaricare l’uva (uva fragola,una bianca , barbera o barbatèl) che, schiacciata a piedi nudi, rilasciava il mosto che scorreva in un pozzetto posto a lato della vasca (lo fondèl). Da qui, per mezzo di secchi, il vino veniva posto in barili da 40 litri e trasportato nelle varie cantine per essere travasato nelle varie damigiane.
Le damigiane avevano capienza di 54, 25, 15, 10 o 5 litri.
La resa media dell’uva era di 70 litri di mosto ogni 100 chili.
La presenza di tre palmenti storici dà il nome alla località “Tres Parments” sita nelle vicinanze della più rinomata località Fornàio.
Buoi e Asini
Altra antica peculiarità ormai destinata all’oblio è la tecnica di imbragatura dell’asino, “la bàrda”, e dei buoi utilizzati nell’aratura dei campi e nel lavoro di trebbiatura nelle aie.
L’asino era un mezzo necessario ed indispensabile per la sopravvivenza della famiglia, l’automobile dell’epoca!
La barda, posta sul dorso dell’asino,veniva resa stabile attraverso tre fasce : la più grossa , “lo peteràl” passava sotto il petto dell’animale e si legava ad un collare, la “pistòlina” e la “cinha” poste rispettivamente dietro la coda e sotto il ventre.
“Las troshas”, piccole catenelle di ferro, assicuravano il carico alla barda e la “cappissa”, ovvero la cavezza, era un cordicella che si legava alla briglia o semplicemente alla museruola per indirizzare il passo dell’asino.
Considerata all’epoca un capitale inestimabile per il proprietario, la coppia di buoi (la parilhia) era il cuore pulsante dell’aratura e della trebbiatura estiva!
La “parilhia de bives”, domata, veniva legata al giogo (jeie) attraverso “empàies” (strisce di cuoio) e “parchàras” (spesso corde di canapa).
Giogo e vomere erano collegati da un lungo palo chiamato “pèrtia” e “lo dentàl”, piegando “las orelhas de la vòmera” permetteva di guidare l’aratro nel campo.
Nel lavoro di trebbiatura nell’aia i buoi venivano accoppiati ad un grosso macigno (lo pès) che, trascinato schiacciava il frumento posto a “grènhas” nell’aia. Così i chicchi si separavano da “l’usca” per essere poi setacciati prima con l’ausilio di forche al vento, poi con setacci, e conservati nei sacchi. La proporzione di spartizione del frumento era 1⁄2 al padrone del terreno ed 1⁄2 ai coloni. Il proprietario dei buoi guadagnava quanto la giornata di tre uomini!
In toponomastica ritroviamo località che ricordano la presenza di aie storiche : L’Aire de Gran, l’Aire de la Pàtta, L’Aire de la Sèrra, Les Aires.
L’unità di misura del peso non era espressa in chilogrammi ma nel sistema largamente utilizzato al
Sud, il tumolo! Un tumolo (tummen) corrispondeva a circa 50 chili e da esso si derivavano le altre unità di
misura : lo mès tummen, lo càrt, lo màs càrt, la stròppa e la cordàa. Superiore al tummen era la rua che misurava circa 75 chili.
Nomi e proprietà dei principali mulini, frantoi e palmenti di Guardia Piemontese
In appena mezzo secolo tutto questo sapere e queste informazioni sembrano inevitabilmente destinate a scomparire per sempre. Il mondo, alla continua ed affannosa ricerca di nuove tecniche di produzione non si volge mai indietro per considerare ciò che è stato, ciò che siamo stati! E si sa, il progresso non si ferma!
Tuttavia , in una società sempre più scardinata dalle radici culturali da cui deriviamo, è saggio difendere e conservare come inestimabile tesoro, nomi, persone e storie di un tempo ormai trascorso, ma non forse del tutto ancora passato!
Qui di seguito i nomi o la proprietà dei principali mulini, frantoi e palmenti di Guardia Piemontese:
PROPRIETARI DI FRANTOI: Molinari, Oliverio, Cesareo, Muglia.
PROPRIETARI DI PALMENTI: Gulglielmetti, Russo.
NOMENCLATURA DI PALMENTI: Tres Parments, Lo parment del la Grotta Pacha, Lo parment dal Fornài.
PROPRIETARI DI MULINI: Molinari, Monterossi e Mulino Comunale.
NOMENCLATURA DI MULINI: lo Mulin de la Biellòtta, lo Mulin del Sunsavratòr, lo Mulin de la Sèrra, lo Mulin dal Molinàsse.
AUTORE: Domenico Iacovo
Rettore Associazione Culturale Occitana Gàrdia d’Oc, libero ricercatore della cultura occitana di Guardia Piemontese e corrispondente dal Sud per le riviste “La Rafanhauda” e “Lo Jornalet”