L'arrivo dei valdesi in Calabria

Dalle migrazioni alle stragi

Pochi anni dopo la scomunica e la cacciata da Lione, le comunità valdesi si spostarono nelle valli alpine piemontesi che subirono un forte popolamento tra il 1200 e il 1300. Per risolvere i problemi di sovrappopolazione alcuni di loro decisero di intraprendere un viaggio lungo tutta l’Italia fino al sud, in Calabria e in Puglia.

Difficile fornire una datazione precisa del loro arrivo in terra calabra, ma sembra che una prima ondata migratoria avvenne già in epoca Sveva nel XIII secolo ed è quasi certa la presenza di comunità valdesi sotto il regno dell’Imperatore Carlo I d’Angiò (1266). Pierre Gilles (storico Valdese) segnalava nel 1644 che i proprietari terrieri calabresi offrirono terre da coltivare ai valdesi in cambio di un canone annuo, ma con la possibilità di fondare delle comunità esenti dagli obblighi feudali. I primi gruppi provenienti dal Piemonte, si insediarono nella zona di Montalto Uffugo (provincia di Cosenza), creando il borgo degli Ultramontani e poi a San Vincenzo la Costa, Rose, San Sisto e Guardia Piemontese, centro abitato fondato direttamente dai valdesi. Prima del loro arrivo sul territorio, che ricadeva sotto il controllo dei Marchesi Spinelli di Fuscaldo, era presente solo un piccolo castello con una torre di avvistamento per le navi saracene, una torre di guardia appunto.

L’insediamento e la costituzione di queste prime comunità in Calabria favorirono nei due secoli successivi l’arrivo di altri gruppi dal Piemonte. I flussi migratori continuarono almeno fino alla metà del XV secolo sia per motivi economici che per le continue persecuzioni subite in Piemonte. La Calabria era dunque per i valdesi luogo dove poter trovare tranquillità e pace, e in un certo senso la trovarono, in quanto per alcuni secoli, almeno fino all’adesione dei valdesi al protestantesimo (1532), vissero in tranquillità anche con le comunità cattoliche, dedicandosi all’agricoltura; alla pastorizia; alla coltura della canapa e dei bachi da seta.

È importante far notare come in un primo tempo i valdesi seguissero le pratiche cattoliche come il battesimo, anche se leggevano la bibbia in autonomia. Questo atteggiamento (chiamato “Nicodemismo”) cambiò dopo il sinodo di Chanforan tenutosi nel 1532 in cui la Comunità Valdese decise di aderire al movimento Protestante e di non nascondere più le loro pratiche. Se è vero che per alcuni secoli vissero in tranquillità è vero anche che essi dovettero “camuffarsi” da cattolici, solo così riuscirono a sottrarsi all’inquisizione che invece colpì a inizio del 1500 gli Ebrei calabresi.

Stava per iniziare un periodo oscuro, l’Europa in generale era scossa dalle guerre di religione tra protestanti e cattolici e la chiesa, che progressivamente aveva sempre meno influenza sui territori del nord Europa e nelle terre germaniche, riteneva intollerabile la presenza e la diffusione dell’eresia in Italia (ritenuta territorio ecclesiastico).

Questo portò a una sempre crescente intolleranza nei confronti dei non cattolici. A seguito della riforma protestante infatti, gli occhi (e le orecchie) degli inquisitori erano oramai ovunque e anche in Calabria si facevano sempre più numerosi i tribunali dell’inquisizione per volere del Re Filippo II di Spagna.

Complesso restituire una visione chiara di tutti gli avvenimenti storici, ma è noto che in quegli anni presso La Gardia (Guardia Piemontese), arrivò il “Barba” Stefano Negrin da Bobbio, il quale accorgendosi del forte fervore religioso dei guardioli, mandò a Ginevra una loro delegazione per chiedere un ministro consacrato della città. Ma l’opera dei Barba, predicatori itineranti che si spostavano tra le comunità valdesi, contribuì a fare esplodere in modo manifesto l’avversione verso di loro, ritenuti eretici per via di semplici pratiche come la lettura della bibbia in autonomia.

Le avvisaglie di una durissima repressione iniziarono nel 1559 (ma forse anche prima) quando i Barba Giacomo Bonelli e Gian Luigi Pascale (a cui oggi è stato intitolato il centro culturale di Guardia Piemontese) presero la strada per la Calabria.

Il primo venne arrestato a Messina e arso vivo sul rogo (a Palermo o Messina stessa), mentre Gian Luigi Pascale risvegliando con le sue prediche il desiderio di libertà religiosa nei Valdesi di Calabria, fece intimorire tutto l’Establishment ecclesiastico, tanto che il Cardinale Ghislieri (poi Papa Pio V) ordinò di agire contro i Valdesi con i metodi dell’inquisizione. Il Pascale venne dunque arrestato, rinchiuso prima nelle carceri cosentine e poi a Roma, dove nel 1560 venne anch’egli arso vivo sul rogo.

A questo punto la situazione precipitò. Furono emanati decreti restrittivi nei confronti dei valdesi, tanto da rendergli la vita praticamente impossibile. Iniziarono perfino i rastrellamenti. Alcuni fuggitivi di San Sisto, che venne completamente distrutta, si rifugiarono a La Gardia, ma in molti furono catturati, uccisi o imprigionati. La situazione era arrivata al limite sopportabile e per difendersi coloro che non erano ancora stati fatti prigionieri, cercarono una reazione di forza, trovando lo scontro con le guardie dell’inquisizione, ma ciò fece solo aumentare la ferocia degli inquisitori.

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<<Non sarà sufficiente rimedio a pigliarne dieci e vinti, ma in tutto bisognería brusarli […] e poco rimedio credo si possa fare se non l’esterminio se non de tucti, almeno d’alchuni>>